Un po’ di matematica
Una permutazione è un modo di ordinare in successione degli oggetti distinti. immaginando di averne n, il numero totale dei possibili modi di ordinarli, cioè delle permutazioni, è n!
(cioè, per chi è a digiuno di matematica, nx(n-1)x(n-2)x…x1).
Per esempio, nel caso di 3 oggetti, ABC, i possibili ordinamenti sono 6, cioè 3!=3x2x1=6: ABC, BAC, CAB, BCA, CBA, CAB.

Se gli oggetti sono 10, il numero totale di possibili ordinamenti diventa molto più alto, esattamente 10!=3.628.800 (verificatelo da soli se ne avete voglia).
Molto interessante, ma cosa c’entra con la letteratura? C’entra, eccome e ora vi spiego perché.
Permutazioni letterarie
Ho letto una raccolta di Cortázar, Ottaedro (un libriccino corto corto ma molto interessante, che vi consiglio caldamente, si legge in fretta), all’interno c’è il racconto Lì, ma dove, come che narra di un sogno, un ricordo, una visione, un mondo parallelo, abitato da Paco, l’amico morto dell’autore. Oltre che per l’interesse letterario e per il piacere della lettura, questo racconto mi ha colpito per una particolarità: inframmezzati alla storia ci sono dieci (dieci, vi ricorda qualcosa?) paragrafi in corsivo, apparentemente scollegati dal resto del testo che iniziano in minuscolo e si concludono senza punto.
Siccome il caro Julio non è nuovo a esperimenti di scrittura particolari (vedi il peculiare ordine di lettura che suggerisce per il suo romanzo Il Gioco del Mondo), ho pensato che quei paragrafi in corsivo potessero avere qualche significato nascosto, oltre a quello banale di inframezzare la storia con delle riflessioni personali. Perciò ho provato a leggerli uno di seguito all’altro, per vedere se formavano una “storia dentro la storia” che avesse senso compiuto.
Sequenza 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
(1) è lui all’improvviso: adesso (prima di cominciare a scrivere) o ieri, domani, nessuna indicazione previa, lui c’è o non c’è; non posso neppure dire che viene, non esistono né arrivo né partenza; lui è come un puro presente che si manifesta o non si manifesta in questo presente sporco, pieno di echi di passato e obblighi di futuro
(2) il suo volto piccolo e pallido, il suo corpo asciutto di giocatore di pelota basca, i suoi occhi d’acqua, i suoi capelli biondi con la brillantina, la riga di lato, il suo vestito grigio, i suoi mocassini neri, quasi sempre una cravatta azzurra ma qualche volta in maniche di camicia o con una vestaglia di spugna bianca (quando mi aspetta nella sua camera di via Rivadavia, e si alza con sforzo perché non mi accorga di quanto è malato, va a sedere sul bordo del letto avvolto nella vestaglia bianca e mi chiede la sigaretta che gli è stata proibita)
(3) quando sogno Alfredo, come altri morti, l’immagine può essere una delle tante sue, secondo le opzioni del tempo e della vita; vedo Alfredo al volante della sua Ford nera, mentre gioca a poker, mentre si sposa con Zulema, mentre usciamo insieme dalla scuola Mariano Acosta e andiamo a bere un vermut al Perla del Once; poi, infine, prima, in un giorno qualsiasi durante un anno qualsiasi, ma Paco no, Paco è solo la stanza nuda e fredda della sua casa, il letto di ferro, la vestaglia di spugna bianca, e se ci incontriamo nel caffè ha indosso l’abito grigio e la cravatta azzurra, la faccia è sempre uguale, la terrea maschera finale, i silenzi di una stanchezza inarrestabile
(4) la sua faccia terrea e senza sole, senza neppure la luna dei caffè dell’Once, la vita da nottambuli degli studenti, una faccia triangolare senza sangue, l’acqua celeste dei suoi occhi, le labbra spellate dalla febbre, l’odore dolciastro dei nefritici, il suo sorriso dolce, la voce ridotta al minimo, costretto a respirare fra una frase e l’altra, sostituendo le parole con un gesto o una smorfia ironica
(5) rileggere quanto ho scritto è chinare la testa, prendersela con l’ennesima sigaretta, domandarsi il significato di questo scrivere su questa macchina, per chi, dimmi tu, per chi che non alzi le spalle e rapidamente classifichi, metta l’etichetta e passi ad altro, a un altro racconto
(6) come dirlo, come continuare, fare a pezzi la ragione ripetendo che non è solamente un sogno, che se lo vedo nei sogni come uno qualsiasi degli altri miei morti, lui è un’altra cosa, è lì, dentro e fuori, vivo anche se
ciò che vedo di lui, ciò che odo di lui: la malattia lo stringe, lo fissa nell’ultima appartenenza sua che è il mio ricordo di lui trentun anni fa; così come ora, così è
(7) addurre prove d’aria, mucchietti di cenere come prove, certezze di vuoto; e peggio ancora con parole, da parole incapaci di vertigine, etichette precedenti la lettura, quest’altra etichetta finale
(8) nozione di territorio contiguo, distanza a fianco; tempo a fianco, e al tempo stesso niente di tutto ciò, troppo facile rifugiarsi nel binario; come se tutto dipendesse da me, da una semplice chiave che un gesto o un salto mi darebbero, e sapere che non è così, che la mia vita mi rinchiude in ciò che sono, proprio sul ciglio ma
cercare di dirlo in altro modo, insistere: per speranza, cercando il laboratorio di mezzanotte, un’impensabile alchimia, una trasmutazione
(9) anche forse per stare ancora una volta accanto a lui nel momento della morte come in quella notte di ottobre, i quattro amici, la fredda lampada appesa al soffitto, l’ultima iniezione di coramina, il petto nudo e gelato, gli occhi aperti che uno di noi gli chiuse piangendo
(10) e neppure speranza nell’assurdo, saperlo nuovamente felice, vederlo in un torneo di pelota, innamorato di quelle ragazze con le quali ballava al club
piccola larva grigia, «animula vagula blandula», scimmietta tremante di freddo sotto le coperte di lana, tendendomi una mano di manichino, a quale scopo, perché
Il risultato però non mi sembra granché, perciò ho pensato che potrebbe esserci un gioco nascosto e che l’ordine di lettura dei paragrafi non sia quello con cui appaiono nel racconto. Il problema è che ci sono 10! possibili ordinamenti (ecco dove saltano fuori le permutazioni) e, anche assumendo di essere velocissimi e riuscire a provarne una al minuto, ci vorrebbero quasi sette anni per leggerli tutti. Invece che esplorare tutte le permutazioni ho allora pensato che era meglio trovare quelle che avessero un senso, quindi ho tentato un approccio più ragionato e ho ottenuto questo:
Sequenza 3 2 4 7 10 1 8 6 5 9
(3) quando sogno Alfredo, come altri morti, l’immagine può essere una delle tante sue, secondo le opzioni del tempo e della vita; vedo Alfredo al volante della sua Ford nera, mentre gioca a poker, mentre si sposa con Zulema, mentre usciamo insieme dalla scuola Mariano Acosta e andiamo a bere un vermut al Perla del Once; poi, infine, prima, in un giorno qualsiasi durante un anno qualsiasi, ma Paco no, Paco è solo la stanza nuda e fredda della sua casa, il letto di ferro, la vestaglia di spugna bianca, e se ci incontriamo nel caffè ha indosso l’abito grigio e la cravatta azzurra, la faccia è sempre uguale, la terrea maschera finale, i silenzi di una stanchezza inarrestabile
(2) il suo volto piccolo e pallido, il suo corpo asciutto di giocatore di pelota basca, i suoi occhi d’acqua, i suoi capelli biondi con la brillantina, la riga di lato, il suo vestito grigio, i suoi mocassini neri, quasi sempre una cravatta azzurra ma qualche volta in maniche di camicia o con una vestaglia di spugna bianca (quando mi aspetta nella sua camera di via Rivadavia, e si alza con sforzo perché non mi accorga di quanto è malato, va a sedere sul bordo del letto avvolto nella vestaglia bianca e mi chiede la sigaretta che gli è stata proibita)
(4) la sua faccia terrea e senza sole, senza neppure la luna dei caffè dell’Once, la vita da nottambuli degli studenti, una faccia triangolare senza sangue, l’acqua celeste dei suoi occhi, le labbra spellate dalla febbre, l’odore dolciastro dei nefritici, il suo sorriso dolce, la voce ridotta al minimo, costretto a respirare fra una frase e l’altra, sostituendo le parole con un gesto o una smorfia ironica
(7) addurre prove d’aria, mucchietti di cenere come prove, certezze di vuoto; e peggio ancora con parole, da parole incapaci di vertigine, etichette precedenti la lettura, quest’altra etichetta finale
(10) e neppure speranza nell’assurdo, saperlo nuovamente felice, vederlo in un torneo di pelota, innamorato di quelle ragazze con le quali ballava al club
piccola larva grigia, «animula vagula blandula», scimmietta tremante di freddo sotto le coperte di lana, tendendomi una mano di manichino, a quale scopo, perché
(1) è lui all’improvviso: adesso (prima di cominciare a scrivere) o ieri, domani, nessuna indicazione previa, lui c’è o non c’è; non posso neppure dire che viene, non esistono né arrivo né partenza; lui è come un puro presente che si manifesta o non si manifesta in questo presente sporco, pieno di echi di passato e obblighi di futuro
(8) nozione di territorio contiguo, distanza a fianco; tempo a fianco, e al tempo stesso niente di tutto ciò, troppo facile rifugiarsi nel binario; come se tutto dipendesse da me, da una semplice chiave che un gesto o un salto mi darebbero, e sapere che non è così, che la mia vita mi rinchiude in ciò che sono, proprio sul ciglio ma
cercare di dirlo in altro modo, insistere: per speranza, cercando il laboratorio di mezzanotte, un’impensabile alchimia, una trasmutazione
(6) come dirlo, come continuare, fare a pezzi la ragione ripetendo che non è solamente un sogno, che se lo vedo nei sogni come uno qualsiasi degli altri miei morti, lui è un’altra cosa, è lì, dentro e fuori, vivo anche se
ciò che vedo di lui, ciò che odo di lui: la malattia lo stringe, lo fissa nell’ultima appartenenza sua che è il mio ricordo di lui trentun anni fa; così come ora, così è
(5) rileggere quanto ho scritto è chinare la testa, prendersela con l’ennesima sigaretta, domandarsi il significato di questo scrivere su questa macchina, per chi, dimmi tu, per chi che non alzi le spalle e rapidamente classifichi, metta l’etichetta e passi ad altro, a un altro racconto
(9) anche forse per stare ancora una volta accanto a lui nel momento della morte come in quella notte di ottobre, i quattro amici, la fredda lampada appesa al soffitto, l’ultima iniezione di coramina, il petto nudo e gelato, gli occhi aperti che uno di noi gli chiuse piangendo
Sequenza 5 8 9 3 10 1 4 7 6 2
Un’altra sequenza interessante potrebbe essere la 5 8 9 3 10 1 4 7 6 2 che, a differenza di quella precedente, ha un incipit che rimanda al passato, al ritornare:
(5) rileggere quanto ho scritto è chinare la testa, prendersela con l’ennesima sigaretta, domandarsi il significato di questo scrivere su questa macchina, per chi, dimmi tu, per chi che non alzi le spalle e rapidamente classifichi, metta l’etichetta e passi ad altro, a un altro racconto
Io mi fermo qui, mi sono divertito con il racconto di un autore che giocava con le storie più e meglio di me, se l’idea vi ha intrigato ci sono ancora 3.628.797 possibili sequenze da esplorare, chissà che una non sveli qualche mistero nascosto…
Alessandrini, Paolo. 2019. Matematica rock: storie di musica e numeri dai Beatles ai Led Zeppelin. Milano: Hoepli. (soprattutto il capitolo 6)
Bartocci, Claudio (a cura di). 2007. Racconti matematici. Torino: Einaudi.
Borges, Jorge Luis. 2015. Finzioni. Milano: Adelphi.
Cortázar, Julio. 2014. Ottaedro. Torino: Einaudi.